Santa Sofia, Valpolicella del cuore
Santa Sofia, Valpolicella del cuore
C’è silenzio in sala, quando dalle segrete stanze di Santa Sofia emerge un reperto: Gioè 1998, Amarone della Valpolicella. Lo guardo scendere nel calice, riposare e prendere fiato. Lo sento esprimere ricordi ancora vivi, esplodere un sorso per il quale è compito impervio ricercare i consueti indicatori di vecchiezza. Lo palpeggio con tutti i sensi, per ricavarne questa sensazione di folgorante eleganza, di sussiego generoso, di austerità sorridente. Gioè ’98 è tutto quello che c’è da dire su questo vino e su questa terra, e ti accorgi che le chiacchiere sulla capacità dell’Amarone di portarsi sulla tavola sono semplicemente una funzione lineare del tempo. Lascialo correre e mi avrai.
Una mattinata d’autunno vestita di primavera, nella Valpolicella, a seguire il racconto pacato nella forma ma vibrante nella sostanza di Luciano Begnoni, oggi “front man” della storica Casa di San Pietro. Storie della storia di questa realtà che data due secoli, ma pesca molti calendari piu indietro, fin da quando il vino da queste parti era cosa di monaci e poc’altro. Sole di taglio che illumina le pergole di Montegradella prima – uno degli appezzamenti in quota di Santa Sofia – e le antiche mura della villa palladiana poi. Perchè non basta la storia del vino a corroborare un’atmosfera già densa di suggestioni e di valori, spessa, profonda. Si aggiunge il fascino tutto italiano, tutto veneto di Villa Santa Sofia, detta Villa Serego*.
La cantina storica è stata realizzata giusto un paio di secoli fa recuperando la barchessa e gli interrati dell’unica villa palladiana rimasta oggi nel veronese. Progettata dal Palladio nella seconda metà del ‘500, non ostante sia rimasta incompiuta, mettendo a terra solo una parte minoritaria del grandioso porgetto palladiano, conserva la magnificenza classica propria del grande architetto. “Lustro e limite” dice Begnoni, pratico e reattivo come ti aspetti da un figlio dei tempi e dei luoghi: che sta già alacremente lavorando ad una nuova cantina, “otto volte più grande ed è già piccola” qualche chilometro più in là. Del resto camminando nelle cripte della villa non si può che emozionarsi nelle muffe e nelle penombre e nello stesso tempo tremare, per le costrizioni che ambienti costruiti per tutt’altro impongono. Come i refettori, di cui si palesano tutt’oggi i grandi camini, adibiti a bottaie.
Eppure c’è nei vini di Santa Sofia qualcosa che rimanda allo slancio verticale dei prospetti palladiani. Sia o meno suggestione – incrementale, grazie alla strepitosa ambientazione del pranzo all’Amistà del Byblos Art Hotel – i rossi della Casa strappano più di un sorriso: Ripasso in testa, emendato dalle pastosità vellutose che frequentemente accarezzano il tipo, e librato in una armonia mirabile di freschezza e agilità che sorprende e convince. Più ancora della imperturbabile giovinezza del Gioè 2013: schiettamente coerente con la “mano” di Santa Sofia, ma altrettanto pronto per un riposo ancora lungo assai.
di Stefano Caffarri